Partenza ed arrivo a Moriago della Battaglia
(Sede Gruppo Alpini – presso il Campo sportivo) – (ore 4
ca.)
Coord.: Martini V. – De Bortoli L. (Km
32 = € 10 ) (Zanetti n. 4)
DATI TECNICI:
L'itinerario completo si estende, oltre che sul comune di Farra di Soligo,
anche sul territorio dei 2 comuni limitrofi di Moriago della Battaglia
e Sernaglia della Battaglia.
Caratteristiche: percorso ciclo-pedonale prevalentemente su carrareccia,
con tratti su strada bianca.
Periodo ottimale: praticamente tutto l'anno, esclusi i periodi piovosi;
3/4 h
II nome "pagano" di palude ancora permane
dopo la "buona" e cristiana bonifica: una "regola"
fatta di fossi, canali, siepi e filari.
II percorso si svolge nell'area pianeggiante dei Palù, nel cuore
del Quartier del Piave. L'importanza naturalistica e paesaggistica della
zona è legata alle particolarità geologiche del suolo,
di qualche metro più basso rispetto alle aree circostanti e costituito
da stratificazioni argillose, quindi impermeabili. Per tale motivo le
acque della fascia collinare convogliano qui e, riemergendo nelle numerose
risorgive, generano un'area paludosa, da cui deriva il nome. Questa
caratteristica è stata sfruttata dall'uomo per ottenere un sistema
produttivo rispettoso dell'ambiente fin dal XII secolo, quando fu eseguita
una bonifica ad opera dei monaci benedettini dell'abbazia di Vidor,
che trasformarono l'acquitrino in un sistema ordinato di prati e canali
di drenaggio, grazie ai quali il terreno veniva regolarmente irrigato,
permettendo una produttività maggiore rispetto al rimanente Quartier
del Piave. Il nome dei "campi chiusi", di cui si possono osservare
degli esempi ancor oggi, deriva dalle bonifiche: gli appezzamenti erano
circondati da filari di arbusti e di alberi d'alto fusto, che avevano
il duplice compito di proteggere i canali dall'erosione durante le piene
e i prati dall'eccessivo calore estivo, oltre che di fornire legna da
ardere e materiale per la costruzione di vari utensili di lavoro.
A fine escursione saremo ospiti del Gruppo
ANA di Moriago per il tradizionale ristoro di fine annata.
I PALU’
Sostenibilità e Tutela
I Palù del quartier del Piave fanno parte
della Rete Natura 2000, un’insieme di zone protette istituite
dalla Comunità Europea. In particolare i Palù sono stati
classificati come Sito di Importanza Comunitaria (SIC), ai sensi della
Direttiva Habitat 92/43/CEE, relativa alla conservazione degli Habitat
naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche, qui rappresentati
maggiormente da praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecorus
pratensis, sanguisorba officinalis), praterie con Molinia su terreni
calcarei, torbosi o argillo-limosi (Molinion caeruleae), foreste alluvionali
di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae,
Salicion albae), boschi planiziali a dominanza di Quercus robur e Carpinus
betulus.
Proprio per la salvaguardia di questi ambienti di pregio, oramai sempre
più rari, la zona è soggetta a specifiche normative di
tutela.
E’ auspicabile, quindi, che questa sistemazione agraria mantenutasi
in parte fino ad oggi, continui a conciliare in modo sostenibile la
produzione agricola con il rispetto degli equilibri ambientali e della
biodiversità.
Genesi geologica
I Palù del Quartier del Piave, uno degli esempi
di paesaggio a “bocage” più integri d’Europa,
sono costituiti da un retico lodi siepi e fossati che delimitano prati
e campi, detti, perciò, “campi chiusi”.
L’area dei Palù si estende, conformata a triangolo, per
circa 1000 ettari nei Comuni di Farra di Soligo, Moriago della Battaglia,
Sernaglia della Battaglia, e Vidor.
Questo lembo di territorio ha origini risalenti alla glaciazione del
Quaternario, l’era geologica in cui l’alternanza delle correnti
fluviali e fluvio-deltizie, in successive fasi di asportazione e di
rideposito, hanno messo a nudo limi ed argille profonde.
Si è formato, così, uno strato di sedimenti fini ed impermeabili,
altimetricamente più basso rispetto alle zone circostanti e delimitato
dalle conoidi ghiaiose del fiume Piave a Sud e del fiume Soligo ad Est.
I Palù costituiscono per questo un naturale invaso di raccolta
delle acque di scorrimento superficiali e di quelle sotterranee riaffioranti,
provenienti dal bacino imbrifero prealpino e collinare posto a monte.
Si giustifica, così, il toponimo Palù, per significare
una naturale vocazione di questo territorio a strutturarsi in ecosistema
di palude.
Dall’ Età del Bronzo al basso
medioevo
Nel corso dei secoli, per le sue peculiari caratteristiche
ambientali paludose, l’area rimase selvaggia, impraticabile e
ricoperta da una fitta boscaglia.
Le prime tracce umane risalgono all’ Età del Bronzo. A
Sernaglia, nell’area denominata Castelik, sono stati rinvenuti
frammenti di macine di pietra, di ceramica e di selce lavorata, che
testimoniano la presenza di un insediamento umano recintato con pali
in legno, precursore del castelliere basso medioevale, di cui sono stati
ritrovati numerosi sedimi in cotto, resti dell’antica cinta di
fondazione.
E’ soltanto con i monaci benedettini, provenienti
da Pomposa ed insediatisi nell’ Abbazia di santa Bona di Vidor,
agli inizi del 1100, che la palude viene definitivamente bonificata
ed assume, così, l’aspetto che ancora oggi, in parte, conserva.
I monaci attuarono sull’area una grande opera di regimazione idraulica
e di ripartizione fondiaria, trasformandola in una ordinata successione
di prati, siepi e fossati, sul modello della loro immagine del mondo
e dell’uomo. Ribattezzarono “Valbone” l’intero
ambito dei Palù e vi diffusero tutta una serie di toponimi tipicamente
benedettini (La Dolza, Cal Bazia, Cal Fiorentina, Le Granze, ecc.) ad
espressione del nuovo equilibrio ambientale creatosi per opera dell’uomo.
Le tre specie simbolo della siepe
L’assetto dei campi chiusi aveva, per i monaci,
un valore che andava oltre l’aspetto pratico legato alla produttività
agricola. C’erano molteplici e profondi messaggi spirituali, fondati
su una simbologia tipicamente medioevale, una tra questi rappresentava
i percorsi dell’uomo verso Dio. I tre alberi della siepe individuati
quali icone sono: l’ Ontano, al livello più basso, simbolo
della fisicità dell’uomo, ovvero del corpo; il Salice,
al livello intermedio, icona dell’ anima, la Farnia, al livello
più alto, simbolo dello spirito.
L’ Ontano nero (Alnus glutinosa),
detto re della palude, svolge una importante funzione di sostegno delle
sponde dei fossi e di filtro per la palude. Quando non è soggetto
a taglio a ceppaia, raggiunge anche i 20-25 metri di altezza e la chioma
si presenta conica.
Il Salice bianco (Salix alba) deve
il nome alle foglie lanceolate ricoperte da setosi peli bianchi. Tende
a formare nel tronco delle grandi cavità, che diventano preziosi
siti di nidificazione, ad esempio per la civetta, l’upupa o il
torcicollo, mentre in inverno offrono un riparo confortevole per piccoli
mammiferi come il ghiro.
La Farnia (Quercus robur) è
un albero dal portamento maestoso con rami sinuosi ed allargati che
permettono alla luce di entrarvi abbondantemente. Le foglie sono lisce
e lobate, con un picciolo molto corto. Le ghiande sono attaccate al
ramo con un lungo peduncolo, da cui il vecchio nome scientifico della
farnia: Quercus peduncolata.
Il Mosaico dei “campi chiusi”
I Palù si connotano come un paesaggio agrario
a “mosaico” essendo caratterizzato da un susseguirsi di
appezzamenti dalla forma generalmente rettangolare, orientati con l’asse
longitudinale nord-sud per ottimizzare l’esposizione solare e
sagomati a schiena d’asino per migliorare il deflusso del terreno
impermeabile. In origine i monaci avevano delimitato con siepi i quattro
lati di ogni fondo, per conseguire una pluralità di scopi quali
il sostegno degli argini dei fossati, la funzione di frangivento, la
regolazione della escursione termica giornaliera, la produzione di legna
da ardere e di frutti selvatici. Inoltre le siepi costituivano un habitat
ottimale per la selvaggina.
Le tipiche siepi dei Palù, osservabili tutt’oggi,
si strutturano su tre orizzonti di diversa altezza:
• Uno ad alto fusto, dove predominano farnie,
pioppi neri o platani, anche con esemplari di notevoli dimensioni;
• Uno a medio fusto, costituito da salici capitozzati
a 2-3 metri dal suolo;
• Uno a basso fusto (arbustivo) molto vario,
composto principalmente da ontano nero tenuto a ceppaia, associato a
nocciolo, frangola, sanguinello, acero campestre, fusaggine, viburno,
sambuco, rosa canina, biancospino, prugnolo, ecc.
Sotto le siepi si sviluppa una ricca varietà
di flora tipica del sottobosco come la fragola, l’anemone dei
boschi, il ciclamino, la primula.
In passato gli appezzamenti erano condotti principalmente
a prato stabile per la produzione del foraggio, mentre in minima parte
(ai margini dell’area) vi erano medicai e arativi coltivati per
uso famigliare. Per incrementare il numero degli sfalci su alcuni prati
venivano praticate le marcite (prà de aqua): una tecnica d’importazione
monastica consistente nel far fluire sui prati un velo d’acqua,
per isolare la conca erbosa dalle gelate.
Attualmente la conduzione agraria a prato polifita stabile è
ancora in atto, molto spesso ad opera di piccoli proprietari di aziende
agricole locali. La perdita di rimuneratività della coltura foraggera,
legata ai mutamenti socioeconomici verificatisi segnatamente a partire
dagli anni settanta, ha comportato, in alcuni casi, soprattutto nelle
zone più marginali e meno umidi, il cambiamento dell’uso
del suolo, indirizzandolo verso l’arativo ed il vitato.
Laddove, invece, i fondi presentano un maggior ristagno d’ acqua,
non vengono sfalciati con regolarità (2-3 volte all’anno),
si osserva il graduale ritorno alla condizione di palude, con una successione
ecologica che va dalla iniziale dominanza di carici, equiseti, giunchi
ed altre specie igrofile, sino alla ricostruzione della boscaglia con
farnia, ontano, sanguinello, ecc.
La fauna
La grande varietà di microambienti presenti
nei Palù, data dalla compresenza di acqua, spazi aperti prativi
e siepi strutturalmente complesse, garantisce una elevata biodiversità
anche delle specie animali. Tra i numerosi invertebrati è presente
il rarissimo “Osmoderma eremita”
Si possono incontrare rappresentanti di tutte le classi dei Vertebrati,
comprese specie oramai altrove scomparse.
Tra i pesci che abitano fossi e torrenti, la sanguinerola (Proxinus
proxinis) e lo scazzone (Cottus gobio) indicano una ottima qualità
dell’ acqua. E’ presente anche la rarissima “Lampreda
padana” (Lethenteron zanandreai), che, in realtà, non è
un vero pesce, ma appartiene alla classe dei ciclostomi.
Numerosi sono gli anfibi che trovano in questa zona umida condizioni
ambientali ideali, ad esempio: il tritone crestato (Triturus carnifex),
l’ululone dal ventre giallo (Bombina variegata), la rana di Lataste
(Rana latastei), la raganella (Hyla arborea) ed il rospo comune (Bufo
bufo). Quest’ ultimo ha una importante zona di riproduzione nelle
“Buse de la Moma”. Tra i rettili è stata avvistata
la rara testuggine d’acqua (Emys orbicularis), oramai altrove
quasi scomparsa per l’alterazione dell’ habitat.
Notevole è la presenza dei mammiferi nella zona, molti dei quali
con abitudini notturne e sotterranee, come toporagni d’ acqua
(tra cui Neomys fodiens), crocidure, arvicole e topi selvatici, le prede
principali della volpe (Vulpes volpe), carnivoro molto adattabile che
non disdegna grossi insetti in estate e bacche in autunno.
Sono frequenti la talpa (Talpa europaea), il riccio (Erinaceus eurpaeus),
il ghiro (Mioxus glis), il moscardino (Muscardinus avellinarius), la
donnola (Mustela nivalis), la lepre (Lepus europaeus), ma è anche
possibile incontrare il capriolo (Capreolus capreolus) o trovare le
tracce del tasso (Meles meles). Sono ben rappresentati anche i chirotteri
o pipistrelli.
Gli animali più facili da notare sono gli uccelli. La famiglia
più rappresentata è quella dei Turdidi, con l’usignolo
(Luscinia Magarhynchos) come specie nidificante ed il merlo (Turdus
merulus), presente, invece, tutto l’anno. In estate emette il
suo canto melodioso la capinera (Sylvia atricapilla), che giunge qui
per riprodursi in primavera insieme ad altri migratori come l’upupa,
il rigogolo, il cuculo e l’averla piccola.
Tra le specie stanziali vi sono, tra le altre, la passera mattugia,
il verdone, il cardellino, il saltimpalo, le cince, il picchio muratore,
il codibugnolo, la ballerina bianca, la tortora selvatica, i picchi,
alcuni strigidi, la poiana, il martin pescatore, il fagiano.
Ci sono poi specie di solo passo, come gli anatidi e i limicoli, fra
gli svernanti vi sono i regoli, alcune cince, il rampichino, il lucherino,
il gufo comune.
Nei Palù sono stati osservati anche il falco di palude, il falco
pescatore, la gru e, negli inverni più freddi, specie appartenenti
alla fauna nordica.
La Flora dei prati umidi
I Palù-Valbone, come tante altre zone umide,
rappresentano una “banca genetica”, che racchiude, ad esempio,
circa 445 specie vegetali censite, alcune delle quali rarissime. Da
segnalare la presenza di diverse orchidee spontanee, tra cui l’
Epipactis palustris dai fiori biancastri e l’Anacampitis pyramidalis,
oramai rara nella pianura veneta.
Il Giaggiolo siberiano (Iris sibrica) è una
specie tipica delle aree fredde ed umide del Nord Europa, giunta in
questo sito con le ultime glaciazioni. E’ una pianta rarissima
in tutta la pianura padana. Nel mese di maggio le sue fioriture tingono
di un meraviglioso azzurro-violaceo molti dei prati all’interno
dei Palù.
La Genziana palustre (Gentiana pneumonanthe) è
un’altra specia molto rara tipica degli ambienti umidi e torbosi,
ora quasi ovunque scomparsa a causa della bonifica del suo habitat.
Il Carice (Carex sp.) detto “el Palù”,
cresce in abbondanza nelle zone più umide. In passato era molto
ricercato per l’impagliatura di sedie e per la produzione di corde.